domenica 31 gennaio 2010

Milàn l’è semper un gran Milàn!


Milano, capoluogo lombardo, città dedita al Dio Lavoro, luogo per antonomasia della pubblicità, della moda e delle modelle, del “prosecchino” all'aperitivo e del “cazzo” come intercalare. Città delle eterne scale mobili e della madunina, queste poche righe sono dedicate a te.

Sono nata e cresciuta in Brianza, per me Milano non solo era ad un battito di ciglia, era tutto: vestiti che le mie compagne delle elementari non avevano, piazze enormi e stracolme di adulti, bambini che davano da mangiare a polli grigi dei chicchi gialli, l'ufficio di mio papà con le sedie con le ruote, negozi di giocattoli con tutti i modelli di Barbie compresa quella ispanoamericana, statue in carne ed ossa che non si muovevano fino a quando non gli davi una moneta da 500 lire. Era tutto. Peccato che io Milano non l'abbia mai sopportata.

FERMI TUTTI.
No, non vuole essere il solito sfogo di chi non conosce la città e al primo intoppo su quale linea metropolitana si lascia prendere dallo sconforto, non voglio nemmeno parlare del tremendo grigiume che sovrasta il cielo estate-inverno/giorno notte, non voglio parlare nemmeno dell'accento o del costo della vita. No. Voglio parlare del milanese doc, quello verace, quello che è nato a Milano, da genitori milanesi, da nonni milanesi, che ama la città e la sente un po' come se fosse la sua mameta. Il milanese doc sorride, anzi ammicca, ammicca molto spesso come se se la volesse intendere sempre con un qualcuno che non c'è, forse si rivolge direttamente alla città. Il milanese doc ha la voce un po' rauca, raschia un po' sulla gola soprattutto sul finale di frase e fuma le Marlboro rosse, quando dice qualsiasi cosa non resiste, deve assolutamente inserire una parola in inglese. E quando pronuncia “cazzo” lo dice accorciando terribilmente la parola, mutando leggermente la a in e, dimezzando il numero di z e facendo un sorrisetto. Sempre malizioso, il milanese doc all'aperitivo beve un prosecchino e si mangia due noccioline, a volte, quando vuole fare il brillante ordina uno sbagliato, ma non mangia nemmeno una tartina e se gli si domanda il perchè risponde: “chissà con cosa l'ha fatta cus chi, me fidi no, me pias no”. Il milanese doc non vuole avere nulla a che spartire con quelli della provincia (appena incontra qualcuno chiede “Maaaa Milano-Milano?”) e spesso si lamenta dicendo “se tutti i paesini qua attorno facessero parte di Milano, cazo, sarebbe la città più grande di Europa”, mal sopporta chi non è di Milano ma lo risparmia se è del Nord, escluse ovviamente “le belle fighe” che vanno bene anche di Taranto. Se non si fosse capito il milanese doc è un po' della Lega, ha la macchina, ma anche lo scooterino ed odia gli ausiliari del traffico, è fortemente legato alla famiglia, soprattutto alla mamma, per lui Duomo è una stazione del metrò e nella chiesa ci è entrato al massimo due volte, il panettone lo compra da Peck e l'Arco della Pace indica che inizia corso Sempione.

Per concludere, il milanese doc non è soltanto quello con la mocassa (il mocassino), quello su cui Jerry Calà e Guido Nicheli hanno costruito una fortuna. Il milanese vero, quello inconfondibile, è quello che se gli chiedi “Andiamo a bere una roba?” ti risponde “Certo, c'ho piacere!”.


Aperitivo in corso Buenos Ayres negli anni'50

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