giovedì 20 ottobre 2011

Voglio un balcone


Quando vivevo con i miei a Milano, ogni stanza della casa aveva un balcone, ma per me, quell'angolo di aria aperta dentro le mura domestiche era solo un luogo freddo dove d'inverno stavano i pappagallini. D'estate andavo sempre in vacanza in campagna a casa di mia nonna dove sul ballatoio mettevamo per tutta la giornata le bottiglie di vetro piene che, con il calore del sole, scaldavano l'acqua che poi usavo per lavarmi i capelli. Capelli che venivano asciugati su quel balcone. Un altro balcone era quello della casa al mare, però era chiuso, da quando una volta sonnambula non avevo quasi preso il volo. Quando i miei si separarono cambiai casa e mi ritrovai con un terrazzo in cucina pieno di fiori e un balcone in camera mia pieno di sigarette mezze spente che puntualmente mia madre trovava e per cui puntualmente dovevo sorbirmi la predica. Per evitare di incappare in una madre chioccia arrabbiata non usavo quel balcone, nè tantomeno usavo gli altri. Trasferitami a Torino non mi sono troppo curata della cosa, la mia prima casa in via Cavour non aveva un balcone e probabilmente non aveva nemmeno un impianto elettrico a norma. La mia casa di passaggio in via Gaudenzio (passaggio durato un mese) aveva un piccolo cortiletto interno, ma essendo a pian terreno, non aveva balconi, ma solo inferriate per evitare che i ladri entrassero in salotto. Case di amici con balconi non ne ricordo. La mia terza casa è una mansarda in cui c'è così tanto legno che d'inverno, per un attimo, ti sembra di essere in una baita e ti viene voglia di controllare che in cucina non ci siano gli Wham.

L'altro giorno ho speso metà pomeriggio su un balcone, nonostante la pagaia che a volte era d'intralcio, mi ero dimenticata cosa volesse dire averne uno. O forse non l'avevo mai capito.

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